20 luglio 2006

Genova, un lustro fa.

Nel 2001, di questi giorni ero a Genova. Ero a Genova da qualche giorno (mi sembra il 15) e ci sarei rimasto fino al 22, dormendo tra lo stadio Carlini e il MediaCenter. Mi e' rimasto da allora un pezzo di materassino giallo e verde, di quello che avevo usato per fare una sorta di protezione, insieme a qualche bottiglia di plastica e un caschetto giallo, occhiali e una maschera antigas di gomma blu. Tutto ciò rimase da qualche parte intorno a via Tolemaide, lasciato in mano a qualcuno che andava avanti dopo che io tornavo indietro, con manganelli addosso e mezzo soffocato da un gas che non era il normale lacrimogeno, come avevamo già scoperto qualche mese prima a Roma, e ci sarebbe stato tristemente confermato dalle cronache di quei giorni.
Mi è rimasta addosso una strana sensazione che emerge con gli elicotteri vicini. Tutti l'abbiamo visto e sentito in Apocalypse Now e in tanti altri film. Ma una settimana di seguito dal vivo, in una città pressoché deserta, e' purtroppo un'altra cosa. Non so molto descriverla, questa sensazione: e' una contrazione dei muscoli sulle spalle e le braccia, come il primo sforzo per schiacciare qualcosa tra le mani.
Mi è rimasto il dubbio di aver sentito distintamente (eravamo a poche decine di metri) uno sparo diverso da tutti quelli dei lacrimogeni e delle cariche. Sarà che poi ho rivisto tutto centinaia di volte, ma se mi ricordo mentre ero esausto su un marciapiede, allora riesco a isolare uno sparo diverso da tutti gli altri. Di certo mi son rimaste le ambulanze che passavano rumorosamente mentre al telefono cercavo di parlare o con i miei a casa, o con un amico che invece era lì a fare il giornalista: di tutte le cose che si dissero di quei giorni, l'unica falsa era che i cellulari fossero schermati. Intercettati, sicuramente, ma non schermati.
Mi è rimasto il senso di sconfitta 'militare': un gioco che non dovevamo giocare in quel modo, o che pensavamo avesse altre regole. E la sensazione è stata: ci hanno fregato, bastardi. Ma è rimasto anche il senso di qualcosa che è finito male, malissimo, e che non ha dato i frutti che avrebbe potuto dare. Dall'altra parte sono stati più bravi a imporre il loro gioco, dalla nostra parte siamo stati pessimi. Nessuna delle due parti aveva le masse con sé, ma loro non ne avevano bisogno.
Sono stato fortunato, fisicamente sono tornato integro. Per me, con il senno di poi, è stato molto più pericoloso il viaggio di ritorno, il 21 notte, iniziato con un casello autostradale preso contromano, proseguito tra colpi di sonno e due ore di sonno in una piazzola, in 4 in una piccola citroen. Uno dei compagni di viaggio fu poi arrestato nell'inchiesta sulla Rete Sud Ribelle.
Mi è rimasta anche la voce dell'amico giornalista che entrò alla Diaz subito dopo la polizia e mi disse: "andatevene immediatamente che qui stanno facendo un casino". Con calma, dai microfoni del Carlini, ricordo la mia voce che dava un annuncio in inglese per i pochi rimasti, circa duecento stranieri: "velocemente, senza panico, prendete le vostre cose e uscite fuori dallo stadio. Andiamo verso un altro posto dove dormire". Una piccola carovana di persone un po' disastrate che sotto il faro di un elicottero cammina in una grande strada, corso Europa, verso fuori. Una scena buona per un libro di Stefano Benni.
Mi sono rimaste un po' di cose, da Genova, oltre il pezzetto di materassino. Ad esempio, google restituisce anche questo.
Poi mi e' rimasta un'estate bella in Salento, a riposarsi e mettere le basi per una storia che non doveva finire così.
Per molti motivi, mi sono allontanato da molti dei compagni di quel viaggio, per divergenze e per una vita che e' diventata molto dura per altri motivi. Altri compagni mi sono rimasti intorno, per e oltre la visione politica.
Guardando indietro, di Genova mi è rimasto molto, ha portato via molto. Ha anche portato via un ragazzo che aveva più o meno la mia età.

La memoria è un ingranaggio collettivo.

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