30 maggio 2007

In a Curtis mood

La rabbia non è quella malattia che Pasteur per primo curò alla fine dell'Ottocento. La rabbia è ciò che rimane quando, dopo un po' di tempo, il dolore si posa, torna finalmente ad essere bassa marea. E allora, come fosse una balena spiaggiata, ti ritrovi a fare i conti con una rabbia che pulsa nelle vene e che non sai come calmare.
E allora provi farmaci blandi, il mio amico Xanax durante il giorno e il fratello maggiore EN la notte per dormire. O ti stordisci di fumo pesante, o di alcool. Ma con l'alcool rischi non solo una sbronza nociva, tossica, e quindi di star male prima di dormire, ma rischi anche un sonno breve. E con il fumo, hai paura che smuova paranoie e faccia l'effetto contrario allo stordimento che cercavi.
E scrivi mail nella notte per non mandarle, che rimangono nella cartella “Bozze”. Fai telefonate a amici che sai svegli alle due, e chiami anche chi non dovresti chiamare, vergognandoti per la stupidità. Perdi lucidità perché dormi poco e perché non trovi un gesto che sappia sfogare la tua rabbia assoluta contro un mondo, un destino, una storia.
E vorresti stare bene, ma non ce la fai. Pensi all'evento che ha scatenato tutto, e alla catena che si è portato dietro: tu non c'entri nulla, ti sei trovato lì, hai fatto una grande scelta ma la scelta era più grande di te e non sei riuscito ad andartene. O non hai voluto andartene.
E la rabbia non è l'angoscia, nelle notti in cui stai sveglio. L'angoscia ti manda a dormire per poche ore e poi non ti fa riaddormentare svegliandoti alle tre. La rabbia non ti fa dormire, non ti fa prendere sonno. Ci provi, e non ci riesci, come se uno schizzo di adrenalina seguisse ogni respiro. Chiudi gli occhi, ma non sono sogni quelli, sono lacrime. Di rabbia. Rabbia che non puoi trasformare in nulla, perché con chi te la prendi se un amore muore a 34 anni o un padre a 58? Non puoi far nulla. Fai finta di nulla per un po'. Poi, qualcosa apre un buco. E esce tutto. Per prima, un'ondata terribile, la rabbia, che investe tutto. Se pensi al futuro, lo fai con rabbia per l'impotenza passata, e il futuro si trasforma in paura. Se pensi al passato, oddio. Se pensi al presente, la rabbia ti fa da gabbia.
E così un giorno ti ritrovi che sei allo stadio, pieno di pubblico. Tu lì non porti altro che la bandiera della tua rabbia, e ti senti diverso da tutti gli altri anche se la partita è splendida, divertente, e la tua squadra vince. La rabbia ti fa sentire estraneo anche a questo. La rabbia diventa la tua storia, la tua carta d'identità. Anche negli scontri tra ultras e polizia, la tua rabbia ti porta su altre strade, non la sfoghi colpendo uno stronzo in divisa o con una sciarpa colorata.
E' una rabbia di base, di basso livello come la formattazione di un hard disk: “format /rabbia”. Rabbia è il tuo sistema operativo. Produci tanto in questa fase: compulsivamente, il tuo padrone è contento, vede che le cose le fai e le fai velocemente, bene, preciso, almeno finché riesci a dormire grazie all'EN. Ma c'e' una filigrana in quel che fai. Quella frase che si legge in controluce, non è “mio caro padrone domani ti sparo” ma: “perché?”.
E poi gli amici, le amiche con cui ogni tanto parli. Carolina, che dice “Ehi stellina, aspetta e stai tranquillo, passa”. Fabio che dice “cazzo, quant'e' che non fai sesso?”. Emiliano che in chat scrive “Non puoi farci nulla, e cmq parlane con qualcuno”. Laura che a pranzo sopra l'insalata afferma “quando mi è capitato, ho sbattuto la testa al muro per sette volte sette giorni. Alla seconda luna piena, era passato.” Federico che la butta in politica “certo che t'arrabbi, co' sto cazzo di governo, che c'e' pure da esse contenti?” E per finire, Eleonora che portando a spasso il cane fa uscire un “ma perché tutta sta rabbia? Devi prendertela con te, prima di tutto”.
E ripassi tutto nella testa. Fai passare il tempo e i ricordi e le speranze. Passa il tempo. La rabbia c'è, sempre di meno. Sempre di meno. E il sangue continua a scorrere nelle vene, anche con meno rabbia dentro. Si può vivere senza? È una domanda che fa paura. Ma davanti allo specchio, agli occhi di un amico e di un fratello, sai che non sarà un problema. E ci saranno tanti motivi per rimettere in circolo quella rabbia. Goditi il momento in cui non c'è, e goditi lo schizzo di adrenalina quando torna. Impari anche a sfruttarlo. E ti senti grande, adulto tra gli adulti. Passi dal subire alla gestione. Gli occhi brillano, e nella precarietà della situazione hai trovato il gusto di muoverti per far ballare la nave. Come succede, non si sa. È un lavoro che ti dovrebbero pagare. Dovrebbero insegnarlo a scuola, al liceo e all'università, invece nessuno ti prepara. Ma andrai canticchiando per la strada un motivetto di Curtis Mayfield “Hey, you know we're movin' on up/We're a winner”. Al plurale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

:-)