18 settembre 2007

Perché non possiamo non dirci Calvinisti

Per lavoro, ma con passione, sto leggendo un libro di Massimo Bucciantini, appena uscito: "Calvino e la Scienza".
Calvino, all'epoca molto vicino al Partito Comunista, alla fine del 1957 scriveva, a proposito del lancio dei satelliti sovietici:

Bisognerebbe che la presenza del satellite non rimpicciolisse ma ingrandisse, aumentasse di peso e d'importanza ogni gesto umano, anche il piu' umile, e in tutti i lavori le lotte le ricerche si sentisse che l'era interplanetaria è cominciata.
[...]
Il trasferire in cielo una parte di sé, umiliata sulla terra, non è l'antico modo usato dalla religione per offrire conforto alle pene quotidiane?[...] Non è questo che i filosofi chiamarono alienazione?
[...]
Chi è ancora all'aratro di legno non può guardare al satellite che in modo religioso.
[...]
La sua prima funzione [del satellite] è quella di dare all'uomo la dimensione dello spazio [...]. Voglio che faccia operare sulla terra. E pensare all'universo. Voglio che dia più spazio ai pensieri umani. Da quando è là che gira, ho ripreso a pensare a cose cui con riflettevo da quando avevo diciott'anni.


(Calvino, Dialogo sul satellite, Città Aperta, marzo 1958)

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