11 aprile 2005

Cosa Nostra

John Dickie è un inglese che ha scritto una bella storia della mafia. Dice - lui, nell'introduzione - che l'essere straniero l'ha aiutato: tutto era più semplice, per l'assenza di pregiudizi da parte sua e nei suoi confronti. Ciò ha portato il libro lontano da molti luoghi comuni, anche se comunque non dice cose nuove. Pero', dice cose ovvie, persino da bar, che pochi dicono in Italia, soprattutto in libri editi da un editore mainstream come Laterza. Ad esempio, che Andreotti, non mafioso direttamente (la verità giudiziaria è questa), o era stupido, perché non si accorgeva di ciò che facevano i suoi amici siciliani, o era in malafede perché si copriva gli occhi. Per una persona che è stato il politico più influente della democrazia italiana nel XX secolo, non è un bel dilemma.
Era Pasolini a dire "Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi."
Cmq, soprattutto, Dickie è convinto che la mafia non sia una cosa antica, né una "cultura siciliana". E' un'associazione a delinquere di tipo massonico, una società segreta che esercita poteri là dove lo stato è debole, sovrapponendosi e affiancandosi ad esso, utilizzandolo in modo strumentale. Uno stato che si è spesso illuso di poter governare la mafia a proprio uso, ma che spesso ha dovuto fare i conti con questa bestia in cerca di potere e di denaro.
La storia arriva fino a Dell'Utri e Berlusconi. E il libro è assolutamente da leggere.

Per i casi della vita, ho trovato a disposizione per la lettura "La linea della palma", una lunghissima intervista biografica di Andrea Camilleri. Camilleri che ha conosciuto da vicino la mafia della prima metà del Novecento, quella prima del dominio dei Corleonesi, quella che ha usato anche il bandito Giuliano. Ma che anche, girgentino o quasi, ha visto il tentativo di golpe delle "stidde": ed è scampato a una sparatoria in un bar nel corso di questa guerra tra organizzazioni.

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