Teocon, la lunga marcia sul valico di Darwin
Liberazione - 25 agosto 2005
Negli ultimi anni, la politica italiana si è rivolta sempre di più verso gli Stati Uniti come fonte di ispirazione. Il neoconservatorismo d’oltreoceano è diventato qui – terra papalina – teoconservatorismo, mettendo l’accento sulla necessità di combattere il multiculturalismo, il relativismo e quant’altro osi mettere in discussione il primato morale della religione cattolica romana. Dal dibattito su una già poco piacevole Costituzione europea, la quale non meritava l’ulteriore sfregio del richiamo clericale, fino al Pera teocratico del meeting di CL, sembra essere diventato necessario aderire ad una religione per essere fino in fondo umani. Derivazione di questo rigurgito divino-americanista è la pressione che si sta progressivamente esercitando sulla cultura scientifica. Il referendum sulla procreazione medicalmente assistita è stato solo l’ultimo episodio di disinformazione illiberale sui temi della ricerca e dell’insegnamento della scienza, cui vanno aggiunti i maldestri tentativi di riforma, da destra e da sinistra, dell’università e degli enti di ricerca nel tentativo di scopiazzare il ‘modello americano’. A pochi giorni dalla riapertura delle scuole, e negli occhi le immagini poco edificanti di Papa Ratzinger a Colonia e di Pera da Comunione e Liberazione, torna però alla mente uno dei cavalli di battaglia delle religioni (sono tante, non va dimenticato, come le sette new age) cristiane: la critica al darwinismo e all’idea di evoluzione biologica su basi esclusivamente naturali. L’attacco al darwinismo è in realtà qualcosa di poco evidente in Europa, almeno fino a pochi anni fa. Al contrario, negli Stati Uniti vi è una grande tradizione di lettura letterale della Bibbia contro Darwin, che ha portato prima negli anni Venti e poi negli anni Ottanta del Novecento a due processi contro chi insegnava l’evoluzionismo alla pari delle altre teorie scientifiche. Al contrario, i creazionisti americani, e ora anche i loro maldestri epigoni italiani, sostengono che la teoria darwiniana dell’evoluzione non è dimostrata, ma rimane solamente un’ipotesi, al pari dell’insegnamento delle Sacre Scritture. Dunque ad entrambe va assegnata pari dignità nell’insegnamento nelle scuole e nelle università. In Italia pochi sono arrivati a sostenere apertamente questo tipo di posizione, poiché il cattolicesimo romano non ha la stessa tradizione di biblismo letterale (tipico invece dei Testimoni di Geova, ad esempio). Tuttavia, due anni fa la commissione che ha riformato i curricula di insegnamento delle scuole primarie e secondarie ha di fatto eliminato Darwin dagli argomenti da affrontare nell’ambito scientifico, un’escissione vista favorevolmente dall’estrema destra che si batte in difesa della tradizione e da molte parti della Chiesa cattolica. Tuttavia, va sottolineato che la critica al darwinismo è ormai andata oltre il creazionismo, posizione che sostiene l’origine molto recente della Terra per mano di un dio che ha creato il pianeta e i suoi abitanti in un unico momento. Gli avversari di Darwin sostengono oggi soprattutto quella che viene detta “teoria del progetto intelligente” (intelligent design): l’idea che l’evoluzione sia effettivamente avvenuta, ma che sia stata ‘guidata’ da una mano invisibile di origine divina, che ha quindi dato forma a un processo teleologico il cui punto di arrivo è l’uomo, la sua coscienza e la sua anima. È in questa prospettiva che va letta anche la parziale apertura, salutata come epocale, di Papa Giovanni Paolo II, che nel 1996 dichiarò che l’evoluzione è più di una semplice ipotesi. Ma il “santo subito” escludeva appunto l’anima e la coscienza dal processo naturale dell’evoluzione, e introduceva una finalità, proprio quella che Darwin, con gran merito, aveva definitivamente cancellato dalle scienze biologiche.
L’argomento dell’intelligent design non è certo nuovo, è anzi una delle principali critiche affrontate da Darwin nel 1859 nell’Origine delle Specie: davvero un meccanismo semplice e ripetitivo come la selezione naturale (cioè, il maggior numero di discendenti lasciato dagli individui dotati di caratteri vantaggiosi) è capace di produrre strutture enormemente complesse e meccanismi fini come l’occhio umano e la sua abilità di riconoscimento delle forme? Questo è il quesito posto dal “progetto intelligente”, che risponde al senso di meraviglia suscitato dall’enorme e diversa complessità esibita dalla natura. Tuttavia, come ormai decenni di studi hanno dimostrato, la natura vivente non porta il marchio di fabbrica di un ingegnere divino, quanto piuttosto – usando la felice metafora del Nobel François Jacob – è il frutto del lavoro di un bricoleur, il cui carattere è proprio l’imperfezione. La biologia evolutiva ha reso chiaro che gli adattamenti non sono mai perfetti, ottimali, come se fossero progettati a tavolino: piuttosto hanno sempre qualche difetto dovuto al fatto che l’evoluzione può solo riutilizzare, con leggere modifiche non intenzionali, ciò che è già presente. Così noi umani soffriamo spesso di un mal di schiena dovuto al fatto che la colonna vertebrale non è del tutto adatta all’andatura eretta, perché è ancora fondamentalmente simile a quella degli altri primati. È stato soprattutto Stephen Jay Gould, paleontologo, evoluzionista e grandissimo divulgatore, a richiamare l’attenzione su questi aspetti, mettendo in luce che l’evoluzione si porta dietro un carico di storia incarnato dalle strutture e dai vincoli preesistenti che non si possono più eliminare. Questi vincoli “architettonici”, esistenti ad ogni livello degli organismi, dai geni in su, limitano effettivamente l’azione della selezione naturale. Darwin stesso l’aveva capito, e infatti solo successivamente l’evoluzionismo si è concentrato esclusivamente sul meccanismo selettivo. Il dibattito interno alla comunità evoluzionista è stato però anche sfruttato dagli avversari di Darwin, che ne hanno approfittato per sostenere che non c’è accordo sull’evoluzione. Accusa che dimostra solo la mancanza di comprensione dei processi di crescita della conoscenza, che però rischia di far presa sull’opinione pubblica. Per questo, da anni i sostenitori dell’intelligent design reclamano – fortunatamente senza successo – un dibattito pubblico: vogliono la legittimazione della comunità scientifica, consapevoli che una volta ottenuta questa, avrebbero il potere politico ed economico per imporsi nell’ambito accademico. Da lì, partirebbe una nuova campagna volta a disinnescare il potenziale filosofico antireligioso della teoria darwiniana, la quale ha eliminato ogni fondamento naturale alle credenze in un essere divino. Dal 1859 in poi, nessuno ha più potuto appoggiarsi alla natura per sostenere l’esistenza di un dio. Dal valico di Darwin passa dunque la lunga marcia che le forze della restaurazione stanno compiendo, sotto le insegne dell’integralismo religioso, puntando a inglobare ogni forma di pensiero – dalla politica alla scienza – e facendo della religione un rifugio identitario del quale facciamo volentieri a meno.
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