Due paia di occhi chiarissimi, che escono dal buio, su due facce pallide sotto un arco romano. Vestiti puliti, facce pulite, lui barba fatta, lei i capelli a posto.
Di fronte ai fari della macchina che si ferma al semaforo, lei esita, scende dal marciapiede con un fazzoletto in mano, guardando spaventata e molto silenziosa l’abitacolo. Rapidamente passa lo straccio sui fari, ridà un’altra occhiata dentro, e scivola verso l’auto dietro. Le nostre facce dentro sono le solite, un po’ infastidite, un po’ stanche, che guardano da dietro il vetro la stessa scena di altre mille volte e mille volti. Ma questi sono volti diversi. Slavi, sì, ma diversi da tanti altri, volti spauriti, timidi, volti che si vergognano di quello che fanno, come fosse la prima volta. Hanno finito la coda, si rimettono sul marciapiede, sotto l’arco delle mura di porta Metronia, quella di Totti e dei miei anni da piccolo, tra nonni e scuole medie. Lì uno a fianco all’altro, i due guardano le auto che ripartono, tristi e impauriti. Trovo le monete che ho in tasca e che non avevo pensato di dargli, le tiro fuori, due-tre euro, velocemente che il semaforo è verde e da dietro i fari già scalpitano. Allungo una mano e metto le monete nella mano di lei. Il grazie che urlano è sincero ed eccessivo: pochi spiccioli accolti da due sorrisi che illuminano l’auto e ti lasciano senza fiato, con un brivido, mentre riparti in fretta e verso casa ti domandi chi sono, perché sono lì. Forse hanno perso il lavoro da poco, o forse il cantiere dove lavorano ha chiuso per le vacanze di pasqua e loro devono sbarcare il lunario fino alla riapertura. Di fronte a un gesto veloce e sbrigativo come quello di allungare degli spicci, hanno il sorriso di un bambino di fronte al regalo di natale, hanno la vergogna di qualcuno che e’ abituato ad avere qualcosa (poco) solo in cambio di lavoro. Nel buio il loro sorriso brucia.