....anni, chilometri, sudore e fatica, ma anche sorrisi, saluti estemporanei e appena soffiati con il fiatone per chi incontravo nell’altra direzione. Ruote lisce, tacchettate, larghe e sottili. Bucate, soprattutto. Riparazioni volanti di copertoni, camere d’aria, raggi, mozzi, freni, pedivelle, catene, selle, borse. Dolori al culo, alle gambe, alle braccia, alle spalle, al collo, alla schiena. Piedi freddi, mani ghiacciate nonostante i 20 e più gradi, mani formicolanti. Anche qualche malanno passeggero: infiammazione della cervicale che mi dava capogiri appena giravo il capo, congiuntivite per tutto quello che mi è entrato negli occhi, otite per un vento freddo che mi ha ghiacciato il sudore nell’orecchio destro. 4500 km in due anni, per contare solo i viaggi extraurbani. Italia e Europa, treno + bici + aereo + bus.
Ma era soprattutto bici, e chilometri fatti e da fare, da segnare sulle cartine (che un navigatore, magari me lo regalassero, ma tanto pesa troppo e ti devi portare anche le batterie di ricambio per quello) e annotare sul diario: Marsala – Selinunte 82.5 Km, dice il contachilometri una media di 18.3 km/h, senza contare le soste in spiaggia; Kobenhavn – Roskilde, neanche 40 km (non trovo il taccuino, e Google mi dice 36.9, da centro a centro) ma neanche dieci gradi e la pioggia; Forte dei Marmi – Fanano, 122.7 km, cinquanta di salite a faticar come muli (e la cartina 1: 50000 rubata al rifugio in cima al Passo delle Radici).
Ma questo è il diporto, le vacanze. Poi il trasporto quotidiano, trasporto su gomma e su acciaio (quello del telaio), su sanpietrino e su lastricato romano, su asfalto, terra e brecciolino. Ché se da Montagnola devo andare a Torpignattara, di giorno, taglio per la Caffarella e tutto insieme mi faccio asfalto, sanpietrino, terra e brecciolino. O se torno dall’università verso Garbatella, allora dopo i sanpietrini dei Fori c’è il basolato vicino al Colosseo, insultando i turisti ciccioni americani o gridandogli “don’t vote bush” o “stop war”. E se mi faccio 120 km a settimana per diciamo 40 settimane l’anno (arrotondo per difetto), allora siamo quasi a 5000 km l’anno.
Ecco perché quando poi mi staccano la luce dalla bici (questa volta quella davanti), una bestemmia rabbiosa è la prima cosa che nasce. Non è nulla di grave, è capitato più di una volta anche in luoghi insospettabili come la Danimarca o l’Inghilterra e in vacanza c’è il ricambio pronto (la luce da minatore, la metti in testa per leggere, o per pedalare la notte). Però che cazzo: se la bici la usi, allora ti compri anche dieci euro (ma anche meno) di lucetta. Se non la usi, non ci fai un cazzo.
Stasera dovrò stare un po’ più attento a tornare a casa, e la prossima volta dovrò ricordarmi di non lasciarla attaccata (ma stavolta c’era uno strato di nastro adesivo a tenerla, infame bastardo che non sai che farci, con quella cazzo di lucetta). Che poi, in città le luci servono a farsi vedere, non a vedere: non illuminano nulla, ma se attraversi un incrocio non sei del tutto invisibile. In bici la consapevolezza di essere invisibile ti salva la vita. In bici e non solo.
N.d.O. (Nota di Oggi): la bici è dal medico, per un piccolo intervento, speriamo bene. mi sembrava quindi il giorno adatto per postare sta roba.